Amaury Cambuzat è una vecchia abitudine per la musica indipendente e, come tale, duro a morire. Rappresenta bene l’eroe post-apocalittico del Dernier combat Bessoniano, l’ultimo baluardo che lotta disperatamente per tenere in vita la sua creatura sotterranea, Ulan bator, rivendicandone lo spazio espressivo.
Dopo 20 anni dall’ esordio, continua la sua résistance musical, senza mai deludere, attorniandosi costantemente di nuovi volti dietro gli strumenti e collaborazioni fortunate.
Questa sera dividerà il palco di Zo con la Pepiband e come sempre gli adepti non mancano.
23:00 circa, i Pepi, schivi, imbracciano gli strumenti e si comincia. Un’ esplosione di contrasti e colori: post-rock, fresco e dinamico, suonato con grande intensità e precisione chirurgica. Armonie esili si alternano in perfetto equilibrio ad escursioni rumoristiche, divagazioni meditative e feedback finale.
Il pubblico risponde con entusiasmo anche se qualcuno riesce sempre a trovare invisibili difetti. Personalmente l’unico neo che riscontro resta l’eccitazione da smaltire prima del lungo viaggio onirico in compagnia di ‘Abracadabra’.
Non un semplice open dunque, i ragazzi hanno dei numeri e la loro straordinaria performance sarà all’ altezza dei Bator di Cambuzat, che dopo una manciata di minuti entra insieme a Mario Di battista al basso e Sergio Pomante alla batteria e al sax.
Il battito primitivo di ‘Chaos’ apre le danze e la scaletta segue metodicamente l’ordine su disco, come un rituale sciamanico. ‘Longues distances’ e la convulsa ‘Coeurrida’ si susseguono senza sosta mentre immagini di vulcani in eruzione e fallimentari corride scorrono sullo schermo, potenti e cruente. Un incalzante crescendo di tensione strumentale fino all‘ acme spaziale di ‘Ether’ che lascia appesi.
La rivalsa della natura sulla coercizione dell’ epoca moderna, come descritto dallo stesso autore, raccontata con la poesia e l’ eleganza che lo contraddistingue.
Si continua con il mantra ipnagogico di ‘Evra kedebra’, martellante tra lo sferragliare no wave delle chitarre, l’ intermezzo floydiano ‘Holy wood’ e cosi via fino alla chiusura di ‘Golden down’.
Dopo il tipico siparietto da dipartita, il nostro mago rientra acclamato, sigaretta in bocca, da buon stereotipo francese, ed esecuzione del pezzo finale ‘Protection’.
L’ incantesimo è finito, adesso possiamo ridestarci.
Written by Lando Losi